Molte strutture ospedaliere non trasferiscono più i rischi al mercato a causa dei costi troppo alti delle coperture. Una formula che può portare a gravi problemi finanziari e a criticità negli eventuali risarcimenti. Per questo, da tempo, i broker hanno proposto un piano per una soluzione “virtuosa” che riporti gli assicuratori a offrire garanzie adeguate alla sanità.
Rapporto difficile quello fra sanità e assicurazioni, con ospedali che faticano a trovare coperture e medici che si vedono chiedere anche 15 o 16 mila euro per una polizza re per specializzazioni come chirurgia e ostetricia. Il costo elevato delle polizze è legato all’alto numero dei sinistri denunciati dai pazienti. Le denunce per casi di presunta malasanità, le medicai malpractice, sono ormai superiori alle 31.500 l’anno, in decisa
crescita rispetto alla media di dieci anni fa. Diversi i motivi alla base di questo incremento: si va dalla maggiore consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini all’opera di sensibilizzazione delle associazioni di difesa dei diritti dei malati; dall’evoluzione della giurisprudenza in un quadro di aumento delle aspettative di vita al progresso tecnologico nei processi diagnostici e terapeutici fino all’aumento del numero
di patologie giudicate curabili. Sta di fatto che in Italia l’80% delle denunce dei pazienti per presunti errori medici va in giudizio e la media dei risarcimenti si aggira intorno a 66 mila euro (300 milioni solo nel 2012), un valore tra i più alti in Europa. A mettere altra benzina sul fuoco ecco i risultati di una recente ricerca dell’Ocse sulla malasanità: sapete quali sono i cittadini europei più preoccupati per gli errori medici? Gli italiani, con una percentuale del 97%, a fronte di un 30% di pazienti che afferma di essere stato realmente vittima di un errore medico. Di fronte a questo scenario dilaga il fenomeno della medicina difensiva con i medici che tendono a eccedere nella prescrizione di esami e farmaci, pur di mettersi al riparo da possibili cause giudiziarie (anche se va ricordato che nella stragrande maggioranza dei casi le denunce sono pretestuose e non reggono al
vaglio del giudizio). Il tutto con evidenti ricadute sui costi della sanità, stimati da uno studio dell’Università Bocconi in circa 13 miliardi di euro. Le compagnie si sono ritirate progressivamente da un mercato costantemente in perdita proprio per il dilagare di cause e richieste di risarcimento. L’abbandono degli assicuratori nazionali, con gare pubbliche ormai quasi sempre deserte, ha aperto nuovi spazi di business a società estere operanti in regime di Lps (non sempre in possesso del know-how adeguato) e favorito il crescente ricorso alla cosiddetta auto-assicurazione. Da tempo Aiba sottolinea i rischi che la diffusione della formula auto-assicurativa comporta: rischi finanziari, non facilmente prevedibili, cui si espongono le amministrazioni pubbliche; e rischi sociali, che dovrebbero preoccupare, cui vengono esposti i cittadini perché
i risarcimenti per i danni subiti potrebbero non risultare congrui e tempestivi. Sul tavolo di tutti i soggetti interessati (ministeri della Salute, dello Sviluppo Economico e dell’Economia, Ivass, Ania) ci sono da tempo i risultati di una ricerca condotta da Aiba, in collaborazione con Consap e Università La Sapienza di Roma, su un campione di 126 strutture ospedaliere, completati da un progetto-proposta rilanciato da Aiba come base di
discussione per arrivare a una soluzione “virtuosa” che riporti gli assicuratori a offrire garanzie adeguate alle strutture sanitarie italiane. Il dato di partenza è la spesa, stimata secondo l’approccio cosiddetto risk based, che lo Stato dovrebbe affrontare per rispondere alle esigenze assicurative del complesso delle aziende sanitarie: 1,6 miliardi di euro l’anno. Questo fabbisogno è stato calcolato effettuando una proiezione a livello
nazionale dei risultati della ricerca citata, che aveva permesso di determinare che la spesa assicurativa media per struttura sanitaria, ponderata per i posti letto, risultava di 2,3 milioni di euro (2,7 milioni al Nord e 1,7 al Sud). La soluzione che Aiba propone punta a determinare la parte di rischio che per frequenza e costo medio potrebbe essere finanziata mediante un contributo (fiscale o di altra natura) su base nazionale,
costituendo un primo strato di competenza pubblica, gestito da un Fondo di solidarietà nazionale. Un secondo livello sarebbe lasciato alle compagnie di assicurazioni private operanti in concorrenza e senza vincoli di obbligatorietà. Ricordiamo a questo proposito che un modello di gestione dei rischi che preveda una suddivisione tra pubblico e privato ha già mostrato le sue potenzialità positive nel settore delle coperture assicurative dei rischi agricoli, portando a una riduzione della quota gestita mediante intervento pubblico.